Museo Jatta - Ruvo di Puglia
Intorno alla metà dell’800 il giureconsulto napoletano Giovanni Jatta, nel periodo in cui venivano saccheggiate le necropoli, decise di creare la sua collezione privata di vasi a Ruvo, per evitare che questi reperti di grande valore andassero venduti ai più importanti musei europei, dove si sarebbe perso il contesto. Infatti i tombaroli vendevano solamente i pezzi che ritenevano migliori, danneggiando e distruggendo gli altri, rendendo difficile ancora oggi datare e collocare ciò che ci è pervenuto.
Inoltre a Giovanni Jatta, nipote di Giovanni Jatta, si deve un’ulteriore sistemazione della raccolta, con l’edizione del Catalogo.
La prima ipotesi di vendita della collezione risale a Giovanni senior, il quale, poco prima di morire, aveva preordinato le condizioni del suo acquisto integrale per il Real Museo Borbonico di Napoli, evento che la cognata Giulia Viesti riuscì ad evitare, facendo sopravvalutare la collezione e rendendola così sconveniente per il re.
La storica residenza degli Jatta, realizzata dall’architetto Castellucci, è oggi una casa museo, dove è conservata la quadreria, di periodo caravaggesco, che, a differenza della collezione dei vasi, è stata spartita tra gli eredi della famiglia. Sono stati inoltre preservati gli originali soffitti, carte da parati e pavimentazioni pregiate, realizzate con la tecnica del seminato alla veneziana, che le rende simili a tappeti.
IL MUSEO
Il museo è composto da quattro sale, dove sono disposti i materiali partendo da quelli considerati meno pregiati, nella prima, per poi passare alle ceramiche figurate, in una progressione che culmina nell’ultima sala con il cratere del pittore di Talos. I vasi più importanti sono esposti su colonnette in modo da garantire una visione complessiva, mentre il resto è conservato negli armadi e nelle vetrine originali, costruiti da falegnami napoletani. In ogni sala si trovano, inoltre, dei divanetti, su cui Giovanni Jatta junior faceva sedere i suoi ospiti per raccontare loro i miti attraverso i vasi della sua collezione. Nella seconda sala è presente il busto in marmo di Giovanni Jatta junior, mentre nella quarta il busto di Giovanni Jatta senior è rivolto verso il cratere di Talos, considerato il pezzo migliore della collezione.
Il museo è composto da quattro sale, dove sono disposti i materiali partendo da quelli considerati meno pregiati, nella prima, per poi passare alle ceramiche figurate, in una progressione che culmina nell’ultima sala con il cratere del pittore di Talos. I vasi più importanti sono esposti su colonnette in modo da garantire una visione complessiva, mentre il resto è conservato negli armadi e nelle vetrine originali, costruiti da falegnami napoletani. In ogni sala si trovano, inoltre, dei divanetti, su cui Giovanni Jatta junior faceva sedere i suoi ospiti per raccontare loro i miti attraverso i vasi della sua collezione. Nella seconda sala è presente il busto in marmo di Giovanni Jatta junior, mentre nella quarta il busto di Giovanni Jatta senior è rivolto verso il cratere di Talos, considerato il pezzo migliore della collezione.
CERCHIA DEL PITTORE DI LICURGO, CONSEGNA DELLE ARMI AD ACHILLE
Nella seconda sala, che è la più grande del museo, sono esposti circa 700 vasi, alcuni sono stati prodotti in Grecia, altri sono di produzione locale. Si nota subito la diversità rispetto alla prima sala: oltre ai motivi geometrici ci sono scene figurative.
Uno dei vasi presenti nella sala è un’anfora panatenaica apula dipinta con la tecnica a figure rosse ed è datata intorno al 350 a.C. Raffigura la consegna delle armi ad Achille: il mito narra che la madre di Achille, Teti, ninfa marina, conoscendo il destino di morte del figlio, fece forgiare da Efesto una stupenda e impenetrabile armatura in oro e bronzo. Essa fu poi consegnata alle Nereidi le quali, a cavallo di delfini, uscirono dal mare per donarla al Pelide.
Achille si riconosce per il colore bianco utilizzato per dipingerlo sul vaso; le Nereidi, invece, sono le fanciulle graziosissime, a cavallo di delfini o cavalli marini, con in mano il tridente o ghirlande di fiori.
La scena principale si trova nella fascia centrale del vaso, mentre delle fasce superiori e inferiori vi è un’alternanza di motivi geometrici e floreali.
Nella seconda sala, che è la più grande del museo, sono esposti circa 700 vasi, alcuni sono stati prodotti in Grecia, altri sono di produzione locale. Si nota subito la diversità rispetto alla prima sala: oltre ai motivi geometrici ci sono scene figurative.
Uno dei vasi presenti nella sala è un’anfora panatenaica apula dipinta con la tecnica a figure rosse ed è datata intorno al 350 a.C. Raffigura la consegna delle armi ad Achille: il mito narra che la madre di Achille, Teti, ninfa marina, conoscendo il destino di morte del figlio, fece forgiare da Efesto una stupenda e impenetrabile armatura in oro e bronzo. Essa fu poi consegnata alle Nereidi le quali, a cavallo di delfini, uscirono dal mare per donarla al Pelide.
Achille si riconosce per il colore bianco utilizzato per dipingerlo sul vaso; le Nereidi, invece, sono le fanciulle graziosissime, a cavallo di delfini o cavalli marini, con in mano il tridente o ghirlande di fiori.
La scena principale si trova nella fascia centrale del vaso, mentre delle fasce superiori e inferiori vi è un’alternanza di motivi geometrici e floreali.
CRATERE DI BALTIMORA
Il centro della seconda sala è dedicato al cratere a mascheroni attribuito al Pittore di Baltimora, chiamato così perché il suo vaso eponimo è conservato al museo di Baltimora.
Il lato principale del vaso raffigura il mito della strage dei Niobidi, mentre sulla faccia secondaria è rappresentata una scena funeraria. Il collo presenta la scena di un combattimento tra greci e amazzoni, integrata a seguito del ritrovamento nell’Ottocento, e un rito dionisiaco. A lato del cratere sono infine disposte due grandi anfore, una delle quali presenta una scena tratta dal mito dell’Antigone e, sul lato posteriore, figure mitologiche e funerarie.
L’attenzione dello spettatore si sofferma sulla scena della strage dei quattordici figli di Niobe, la mortale che aveva osato sfidare Latona, avendo preteso che gli onori divini spettassero più a lei che alla dea. La punizione divina è immediata e Apollo è incaricato di uccidere tutti i figli maschi, durante una battuta di caccia; nonostante questo, Niobe continua a sfidare arrogantemente Latona, vantandosi delle sette bellissime figlie rimaste. La dea allora manda Atremide ad uccidere anche loro, che si trovavano a piangere sulle tombe dei fratelli. Per la disperazione Niobe vaga per giorni e giorni in preda al pianto finchè Zeus, provando pietà per lei, la tramuta in pietra.
Nel cratere la figura di Apollo appare su una quadriga, mentre scaglia le sue frecce contro i figli di Niobe; Artemide invece insegue dalla sua biga le figlie, che cercano riparo nella madre, già tramutata in pietra da Zeus. Sono rappresentate anche Latona e altri dei che assistono impassibili all’uccisione.
Il centro della seconda sala è dedicato al cratere a mascheroni attribuito al Pittore di Baltimora, chiamato così perché il suo vaso eponimo è conservato al museo di Baltimora.
Il lato principale del vaso raffigura il mito della strage dei Niobidi, mentre sulla faccia secondaria è rappresentata una scena funeraria. Il collo presenta la scena di un combattimento tra greci e amazzoni, integrata a seguito del ritrovamento nell’Ottocento, e un rito dionisiaco. A lato del cratere sono infine disposte due grandi anfore, una delle quali presenta una scena tratta dal mito dell’Antigone e, sul lato posteriore, figure mitologiche e funerarie.
L’attenzione dello spettatore si sofferma sulla scena della strage dei quattordici figli di Niobe, la mortale che aveva osato sfidare Latona, avendo preteso che gli onori divini spettassero più a lei che alla dea. La punizione divina è immediata e Apollo è incaricato di uccidere tutti i figli maschi, durante una battuta di caccia; nonostante questo, Niobe continua a sfidare arrogantemente Latona, vantandosi delle sette bellissime figlie rimaste. La dea allora manda Atremide ad uccidere anche loro, che si trovavano a piangere sulle tombe dei fratelli. Per la disperazione Niobe vaga per giorni e giorni in preda al pianto finchè Zeus, provando pietà per lei, la tramuta in pietra.
Nel cratere la figura di Apollo appare su una quadriga, mentre scaglia le sue frecce contro i figli di Niobe; Artemide invece insegue dalla sua biga le figlie, che cercano riparo nella madre, già tramutata in pietra da Zeus. Sono rappresentate anche Latona e altri dei che assistono impassibili all’uccisione.
PITTORE DI LICURGO, GIARDINO DELLE ESPERIDI
All’interno della terza sala è custodito il cratere a volute del pittore di Licurgo creato tra il 350-360 a.C.; il vaso è realizzato con l’utilizzo di un fondo nero sul quale vengono dipinte figure rosse.
La scena, rappresentata sul lato A, raffigura il mito che ha come protagoniste le Esperidi: si narra che le tre ninfe vivessero nell’estremo occidente del mondo e custodissero in un giardino, aiutate dal drago Ladone, delle mele d’oro, donatrici di immortalità. Le mele erano state un dono di Gea a Era, in occasione del matrimonio con Zeus, ed Eracle se ne impadronì nel compimento di una delle sue dodici fatiche.
Le due cornici superiori sono dipinte con decorazioni floreali: nella prima sono presenti foglie d’edera, mentre nella seconda un ramo di mirto.
Sul collo del vaso (lato A) viene raffigurata una scena dionisiaca che ha come protagonista la divinità posta di profilo. Alla sinistra del Dio troviamo un satiro con una “pelìke”, che versa il vino in un bacino posto ai piedi di Dioniso, e una “Nίκη” alata; alla sua destra vengono rappresentate una figura giovanile e una baccante.
La prima e la seconda scena sono separate da una cornice floreale. Al centro della seconda scena, che è a sua volta suddivisa in due registri, è situato l’albero delle mele intono al quale si attorciglia il serpente Ladone. Nel registro superiore sono dipinte le due ninfe che protendono le braccia verso l’albero, in quello inferiore si trova, invece, la terza ninfa, anch’essa nell’atto di raccogliere le mele. Da ultimo, il piede del vaso è decorato con delle chimere e una cornice con delle onde.
All’interno della terza sala è custodito il cratere a volute del pittore di Licurgo creato tra il 350-360 a.C.; il vaso è realizzato con l’utilizzo di un fondo nero sul quale vengono dipinte figure rosse.
La scena, rappresentata sul lato A, raffigura il mito che ha come protagoniste le Esperidi: si narra che le tre ninfe vivessero nell’estremo occidente del mondo e custodissero in un giardino, aiutate dal drago Ladone, delle mele d’oro, donatrici di immortalità. Le mele erano state un dono di Gea a Era, in occasione del matrimonio con Zeus, ed Eracle se ne impadronì nel compimento di una delle sue dodici fatiche.
Le due cornici superiori sono dipinte con decorazioni floreali: nella prima sono presenti foglie d’edera, mentre nella seconda un ramo di mirto.
Sul collo del vaso (lato A) viene raffigurata una scena dionisiaca che ha come protagonista la divinità posta di profilo. Alla sinistra del Dio troviamo un satiro con una “pelìke”, che versa il vino in un bacino posto ai piedi di Dioniso, e una “Nίκη” alata; alla sua destra vengono rappresentate una figura giovanile e una baccante.
La prima e la seconda scena sono separate da una cornice floreale. Al centro della seconda scena, che è a sua volta suddivisa in due registri, è situato l’albero delle mele intono al quale si attorciglia il serpente Ladone. Nel registro superiore sono dipinte le due ninfe che protendono le braccia verso l’albero, in quello inferiore si trova, invece, la terza ninfa, anch’essa nell’atto di raccogliere le mele. Da ultimo, il piede del vaso è decorato con delle chimere e una cornice con delle onde.
PITTORE DI SISIFO, IL RATTO DELLE LEUCIPPIDI
Il cratere a volute a figure rosse, ornato da tre cornici con motivi floreali e naturalistici ricorrenti, rappresenta il mito del ratto delle Leucippidi e il mito della guerra fra Amazzoni e Ateniesi. L’opera è attribuita al pittore di Sisifo e viene collocata al termine del V secolo a.C.
I MITO
Il primo mito illustrato è quello delle Leucippidi, figlie del re Leucippo, che furono promesse in sposa dal padre ai figli di suo fratello, gli Aferitidi: Idas e Linceo. I due fratelli parteciparono insieme ai Dioscuri (i due fratelli Castore e Polluce) alla spedizione degli Argonauti. I due strapparono le spose agli Aferidi dopo aver corrotto con doni meravigliosi il padre. Avvenne quindi uno scontro per assicurarsi la mano delle fanciulle e durante la lotta Castore e Linceo persero la vita.
Il cratere a volute a figure rosse, ornato da tre cornici con motivi floreali e naturalistici ricorrenti, rappresenta il mito del ratto delle Leucippidi e il mito della guerra fra Amazzoni e Ateniesi. L’opera è attribuita al pittore di Sisifo e viene collocata al termine del V secolo a.C.
I MITO
Il primo mito illustrato è quello delle Leucippidi, figlie del re Leucippo, che furono promesse in sposa dal padre ai figli di suo fratello, gli Aferitidi: Idas e Linceo. I due fratelli parteciparono insieme ai Dioscuri (i due fratelli Castore e Polluce) alla spedizione degli Argonauti. I due strapparono le spose agli Aferidi dopo aver corrotto con doni meravigliosi il padre. Avvenne quindi uno scontro per assicurarsi la mano delle fanciulle e durante la lotta Castore e Linceo persero la vita.
II MITO
Il secondo mito illustrato è quello dell’Amazzonomachia, la battaglia tra il popolo ateniese e le Amazzoni. Secondo la leggenda, Teseo, divenuto re di Atene dopo la morte del padre, dimostrò la volontà di muovere guerra contro il popolo delle Amazzoni, donne guerriere rappresentate con vestiti arabeggianti e scudi a pelta, discendenti dal Dio della guerra Ares. Anziché rispondere all’attacco degli Ateniesi, le Amazzoni colmarono di doni il re Teseo, il quale decise di invitare le più belle e giovani tra loro a visitare la sua nave, ma appena esse furono a bordo levò gli ormeggi e le fece sue prigioniere. Tra esse c’era Antiope, donna di memorabile bellezza, della quale Teseo si innamorò e ne fece la sua sposa. Tempo dopo le Amazzoni, per vendicare le compagne rapite con l’inganno, strinsero Atene in un estenuante assedio durante il quale morì anche Antiope, combattendo al fianco di Teseo.
Il secondo mito illustrato è quello dell’Amazzonomachia, la battaglia tra il popolo ateniese e le Amazzoni. Secondo la leggenda, Teseo, divenuto re di Atene dopo la morte del padre, dimostrò la volontà di muovere guerra contro il popolo delle Amazzoni, donne guerriere rappresentate con vestiti arabeggianti e scudi a pelta, discendenti dal Dio della guerra Ares. Anziché rispondere all’attacco degli Ateniesi, le Amazzoni colmarono di doni il re Teseo, il quale decise di invitare le più belle e giovani tra loro a visitare la sua nave, ma appena esse furono a bordo levò gli ormeggi e le fece sue prigioniere. Tra esse c’era Antiope, donna di memorabile bellezza, della quale Teseo si innamorò e ne fece la sua sposa. Tempo dopo le Amazzoni, per vendicare le compagne rapite con l’inganno, strinsero Atene in un estenuante assedio durante il quale morì anche Antiope, combattendo al fianco di Teseo.
VASO DI TALOS
Domina la quarta sala il vaso di Talos, un cratere attico con sfondo nero e figure rosse, ad eccezione del gigante bronzeo, riconoscibile per il colore bianco. Il lato principale presenta la scena dell’uccisone di Talos ad opera degli Argonauti Castore e Polluce, guidati da Giasone e aiutati da Medea, la quale è rappresentata con una lunga tunica con clamide e un calice nella mano sinistra. Sul lato destro sono raffigurati il dio del mare, Nettuno, e la consorte Anfitrite, sotto i quali una donna spaventata in fuga simboleggia l’isola di Creta privata del suo custode.
Nel mito greco, infatti, Talos era il nome di un enorme gigante di bronzo, che faceva da guardiano a Creta. Secondo il dialetto di Creta, il suo nome era un derivato di Helios, ‘sole’. Era del tutto invulnerabile, ma aveva una zona debole: la caviglia, dove passava la vena che conteneva il suo sangue. Il gigante venne plasmato dal dio Efesto per Zeus, il quale lo regalò ad una fanciulla della quale era invaghito, Europa, per metterlo a guardia dell’isola dove ella abitava coi suoi figli. Talos venne inviato da Minosse a sorvegliare la propria isola: suo compito era quello di fermare i cittadini che volevano partire senza il consenso di Minosse, e di bloccare coloro che giungevano presso le coste. Egli girava di continuo l’isola, in pattuglia, armato di grossi sassi. Durante la spedizione degli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro, Medea riuscì a far impazzire il gigante mentre Peante, uno della spedizione, scagliò la freccia che colpì il gigante proprio alla caviglia. Così Talos cadde e morì.
Sul lato opposto del vaso sono rappresentati nuovamente Castore e Polluce, incoronati di alloro per la vittoria sul gigante, la dea Minerva, con una piccola figura della Vittoria sul capo e Medea, che riceve gli omaggi da Giasone per la perfetta riuscita degli incantesimi. Questa parte del cratere ha subito un restauro che ha alterato il disegno originale.
Domina la quarta sala il vaso di Talos, un cratere attico con sfondo nero e figure rosse, ad eccezione del gigante bronzeo, riconoscibile per il colore bianco. Il lato principale presenta la scena dell’uccisone di Talos ad opera degli Argonauti Castore e Polluce, guidati da Giasone e aiutati da Medea, la quale è rappresentata con una lunga tunica con clamide e un calice nella mano sinistra. Sul lato destro sono raffigurati il dio del mare, Nettuno, e la consorte Anfitrite, sotto i quali una donna spaventata in fuga simboleggia l’isola di Creta privata del suo custode.
Nel mito greco, infatti, Talos era il nome di un enorme gigante di bronzo, che faceva da guardiano a Creta. Secondo il dialetto di Creta, il suo nome era un derivato di Helios, ‘sole’. Era del tutto invulnerabile, ma aveva una zona debole: la caviglia, dove passava la vena che conteneva il suo sangue. Il gigante venne plasmato dal dio Efesto per Zeus, il quale lo regalò ad una fanciulla della quale era invaghito, Europa, per metterlo a guardia dell’isola dove ella abitava coi suoi figli. Talos venne inviato da Minosse a sorvegliare la propria isola: suo compito era quello di fermare i cittadini che volevano partire senza il consenso di Minosse, e di bloccare coloro che giungevano presso le coste. Egli girava di continuo l’isola, in pattuglia, armato di grossi sassi. Durante la spedizione degli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro, Medea riuscì a far impazzire il gigante mentre Peante, uno della spedizione, scagliò la freccia che colpì il gigante proprio alla caviglia. Così Talos cadde e morì.
Sul lato opposto del vaso sono rappresentati nuovamente Castore e Polluce, incoronati di alloro per la vittoria sul gigante, la dea Minerva, con una piccola figura della Vittoria sul capo e Medea, che riceve gli omaggi da Giasone per la perfetta riuscita degli incantesimi. Questa parte del cratere ha subito un restauro che ha alterato il disegno originale.